Un trauma viene definito come un evento emotivamente e psichicamente stressante che porta all’alterazione del normale equilibrio e funzionamento psichico, corpore e sociale, questa definizione, che ritroviamo all’interno di tutti i manuali diagnostici, mette in evidenza una situazione o un evento diretto e indiretto che il soggetto ha vissuto; un lutto, un incidente, una violenza, un abuso ecc.
In questo modo soggetto e trauma vengono posti come entità distinte e ben separate l’una dall’altra, due entità ontiche differenti dove il trauma sembra porsi all’aldilà del soggetto.
Da sempre la psicoanalisi si è posta nei confronti del rapporto tra soggetto e trauma attraverso due continum.
Il primo continum cerca di definire il trauma attraverso i concetti di costruzione fantasmatica o di evento reale.
Freud definisce il trauma come una serie di fantasie incestuose che il soggetto organizza attraverso immagini primarie e a cui fanno capo i processi di rimozione, spostamento e ritorno del rimosso. Un bambino è sin da subito sollecitato dalla propria sensorialità corpore attorno alla quale costruirà delle fantasie. Queste fantasie con lo sviluppo fisico, psichico e sessuale verranno rimosse in quanto considerate inaccettabili, per poi tornare sotto forma di sintomo nevrotico.
Janet e Ferenczi definiscono il trauma come uno o più situazioni, violenza e/o incesto, realmente accadute, tra adulto e bambino; dove è l’adulto a sedurre il bambino attraverso atteggiamenti e comportamenti promiscui dal quale l’Io del bambino non è in grado di difendersi, avendo a capo il processo di disaggregazione e dissociazione.
Se con Freud abbiamo il trama inteso come evento fantasmatico e con Ferenczi abbiamo il trauma inteso come evento reale. Ma dov’è il nostro soggetto? Unheimlich
Con la parola tedesca Unheimlich ci si riferisce a quella situazione in cui qualcosa è allo stesso tempo familiare e estraneo, da sempre conosciuto e da sempre velato, all’interno e all’esterno. Un ambiguità. Lo si ha nel soggetto il quale ritorno del rimosso nella sintomatologia vela ciò che da sempre sa e che da sempre non sa. Il soggetto che ha vissuto la sua vita all’interno di dinamiche relazionali dove colui che era preposto a difenderlo e proteggerlo dal mondo risulta essere la stessa persona che lo minaccia ma dal quale è impossibilitato a separarsene. Lo troviamo nel soggetto nevrotico, nel soggetto Borderline e nel soggetto psicotico.
Ogni evento, relazione, situazione dalla più banale alla più seria è potenzialmente traumatica; un incidente d’auto, la perdita di una persona amata, la fine di un rapporto sentimentale, di amicizia o lavorativo, aver subito un atto di violenza o aver visto qualcuno subirlo ecc. Ognuno di questi eventi esterni è potenzialmente traumatico, eppure lo stesso evento non diviene per tutti un evento traumatico, non scuote l’interno
Nel lavoro clinico si è in grado di analizzare, definire e differenziare un tipo di trauma da un altro. Riconoscere tra il ripetere o il rivivere il trauma. Fare la differenza tra una fantasia inconscia e un evento reale. Ma anche i pazienti hanno un certo grado di consapevolezza nei riguardi di chi o cosa è stato per loro traumatico. Eppure, nonostante ci sia una consapevolezza generale e condivisa di ciò che è stato traumatico, la sofferenza rimane. La consapevolezza non ha causalità con la cura, con il passare oltre.
Quando Lacan definisce il soggetto come S barrato, ci dice dell’impossibilità del soggetto di fare Uno, di essere intero; ci dice che il soggetto è da sempre, come soggetto umano, dentro e fuori dal trauma poiché la significazione simbolica del reale non sarà mai totale, la significazione totale non è possibile. La ricerca del soggetto e del clinico di una consapevolezza definitiva, del significato da ricercare a ogni costo, non solo è strutturalmente irraggiungibile, ma paradossalmente traumatica; portando il soggetto e il clinico a vivere una frustrazione la quale amplifica la traumatizzazione già sperimentata nella propria vita.. Da un lato abbiamo l’angoscia del paziente che divampa come una fiamma che non riesce a placarsi e dall’altra abbiamo la frustrazione del clinico, con i suoi aspetti di vergogna, depressione e rabbia, che attraverso l’impotenza non sa che pesci prendere, non sa dove rivolgere la propria cura.
Oltre alla fantasia e alla realtà vi è allora la verità. Non basta analizzare il trama come un oggetto esterno, ma esso deve essere ricondotto al soggetto. A quel qualcosa che annoda trauma e soggetto.
Nell’esperienza clinica, nel momento in cui dei pazienti stanno per raggiungere o hanno raggiunto il traguardo, tanto desiderato all’inizio, di “superare i propri traumi”, subentra l'auto-sabotaggio. La persona che ha preso consapevolezza di ciò che ha causato la sua sofferenza e di ciò che può essere prognosticamente curante si sabota; fa tutto il necessario per tornare indietro, per tornare al punto 0 della sua sofferenza. Questo ha l’effetto apres coup di produrre ancora di più quella slatentizzazione tra soggetto e truma. Il tanto agognato superamento del trauma diventa il trauma stesso.
Ma è poi giusto parlare di auto sabotaggio? Da cosa il soggetto si auto-sabota, perché dovrebbe recarsi del male? E’ vero che Freud ci insegna come la pulsione non sia solo orientata alla vita, al principio di piacere, ma anche alla morta, all’eterna ricerca di godere di una propria sofferenza. Ma forse è anche vero che il superamento di un trauma, quell’andare al di là diventa terrificante. Diventa terrificante in quanto non si conosce, non si sa nulla della propria esistenza sganciata dal dolore. Si è esseri inermi senza coordinate.
Come ci ricorda Hegel nella dialettica tra servo e padrone, non è il padrone a possedere il potere sul servo ma il servo che ha il potere di dare potere al padrone. Il perché è da chiedere al servo, è a lui che va posta la questione. “Perché permetti a costui di avere potere su di te? Perché vuoi che egli ti sia padrone?” La stessa questione a chi va posta nel trauma? Al Soggetto o al Trauma? A chi dei due? A Entrambi. Poiché l’interrogazione che esclude l’uno dall’altro non ci dice nulla. Interrogare il soggetto escludendo il trauma non ci dice nulla di ciò che per quel soggetto fa sintomo, sofferenza, malessere. Interrogare il trauma escludendo il soggetto non ci dice nulla del significato che un evento ha per il soggetto. “Cosa c’è in questo evento che ti da sofferenza? Cosa succederebbe se una volta liberato ti trovassi a rimanere da solo?
"La pietra non ha alcuna intenzione di scomodarmi lungo il cammino.
Non l'ho creata, esiste.
C'era una pietra - mi ripeto - stava già lì prima che la incontrassi.
È dipeso da me, è a causa mia che una pietra che esiste nel mondo diventa la pietra che trovo nel mezzo del mio cammino.
Eppure il cammino non esiste nel mondo allo stesso modo in cui esiste la pietra.
Il cammino esiste solo perché mi sono messo a camminare, esiste a causa mia; la pietra non esiste a causa mia.
Il segreto è che il cammino crea la pietra che si trova al suo posto".
(J.-A. Miller)
Bibliografia.
S. Freud, Opere. Vol. 1: Studi sull'Isteria e altri scritti (1886-1895) Bollatti Bolinghieri 1977 S Freud Inibizione, Sintomi e angoscia (1926) Bollatti Bolinghieri 1981
P. Janet L’automatismo psicologico, Raffaele cortina editori 2013
S. Ferenczi, Confusione delle lingue tra adulti e bambini 1932
J. Lacan, Scritti. Biblioteca Einaudi 2002
F.Hegel, Fenomenologia dello spirito. Bompiani 2000