Nel linguaggio matematico il termine “traslazione” indica il movimento rigido di un corpo in cui le traiettorie descritte da ciascuno dei punti che lo compongono sono uguali e parallele. Come si può osservare dalle figure, la figura A’ è una ripetizione della figura A, spostata in avanti rispetto allo spazio occupato da A e strutturata a partire dai punti che descrivono A.
Analogamente per Freud, la traslazione è la ripetizione di “un rapporto affettivo preesistente su un nuovo oggetto”, tale rapporto, derivante da materiale infantile, si trova in stato di rimozione, per cui il soggetto non è cosciente di tale fenomeno. La differenza rispetto alla traslazione in geometria, infatti, è che in termini psichici il soggetto opera una separazione dalla rappresentazione affettiva e un falso nesso:
“Il contenuto rappresentativo noto è capitato in questo contesto solo a causa di un falso nesso. Il fatto è che non siamo abituati ad avvertire in noi forti affetti senza che ad essi corrisponda un contenuto rappresentativo, e perciò quando il contenuto ci manca ne prendiamo come surrogato un altro più o meno adeguato; un po’ come la polizia, che quando non può acchiappare l’assassino vero ne arresta uno falso al suo posto.”
Per Freud la cura analitica passa attraverso il transfert tra medico e paziente. Al paziente è richiesto uno sforzo per esprimere il valore affettivo dei propri vissuti. Questo sforzo, secondo Freud, può essere compensato da un surrogato dell’amore, che si può manifestare con la premura, la cordialità, l’amabilità dell’analista. Tuttavia, si possono verificare degli ostacoli alla cura e Freud ne individua principalmente tre:
- quando la paziente pensa di essere trascurata o sottovalutata dall’analista;
- quando teme di legarsi troppo all’analista e di dover dipendere da lui;
- quando trasferisce sull’analista le rappresentazioni cariche di affetti penosi che emergono dalla sua storia, cioè quando il transfert avviene per un “falso nesso”.
Nella traduzione delle opere di Freud ad opera della Bollati Boringhieri, con la direzione editoriale di Cesare Musatti, nell’avvertenza editoriale si precisa che non si tradurrà Übertragung con il termine “transfert” bensì con quello di “traslazione”. Tuttavia lo stesso Freud utilizza il termine transfert, dal francese, a proposito dei sintomi isterici, in particolare si riferirà al cambiamento di lato del corpo del sintomo isterico, mentre l’area originariamente colpita ritorna normale. (Freud, 1888a, p.51).
"Ogni uomo ha acquisito per azione congiunta della sua disposizione congenita e degli influssi esercitati su di lui durante gli anni d'infanzia, una determinata indole che caratterizza il modo di condurre la vita amorosa, vale a dire le condizioni che egli pone all'amore, vale a dire le pulsioni che con ciò soddisfa e le mete che si prefigge. Ne risulta per così dire un cliché (o anche più di uno) che nel corso della sua esistenza viene costantemente ripetuto, ristampato quasi, nella misura in cui lo consentono le circostanze esterne e la natura degli oggetti d'amore accessibili".
In queste righe di "Dinamica della traslazione" del 1912, Freud identifica la natura del transfert in una serie di schemi comportamentali prodotti sia da fattori genetici sia da fattori ambientali, come matrici da inserire nelle forme tipografiche di stampa, che vengano costantemente utilizzate per ripetere un testo, in questo caso un insieme di comportamenti, ogni qual volta si verifichi una qualche somiglianza tra il qui ed ora e il là del vissuto di un soggetto legato agli oggetti d’amore.
Per Freud la cura psicoanalitica non crea la traslazione ma la scopre poiché “tutti gli impulsi, anche quelli ostili, vengono risvegliati e utilizzati dall’analisi col renderli coscienti, e in tal modo la traslazione viene continuamente annullata”. Così, continua Freud, “la traslazione, destinata a divenire il più grave ostacolo per la psicoanalisi, diviene il suo migliore alleato se si riesce ogni volta a intuirla e a tradurne il senso al malato.”
Nello scritto del 1938 “Compendio alla psicoanalisi”, Freud afferma che l’analista serve al paziente sia come autorità, sia come sostituto dei genitori o come maestro o educatore. Tuttavia l’analista rende il servizio migliore quando trasforma, restituendolo all’Io, ciò che è stato reso inconscio e rimosso in preconscio. Sempre in questo passaggio Freud distingue una traslazione positiva, che favorisce l’instaurarsi della cura analitica, da una negativa resistenza proveniente dall’Io che difficilmente si assoggetta al complesso lavoro dell’analisi.
Che il processo di analisi fosse faticoso e richiedesse attenzione e cura Freud lo sapeva bene. E questo suo “sapere” risaliva alla scoperta del transfert stesso come parte della storia della nascita della psicoanalisi. La gestazione di tale nascita comincia con la prima terapia della storia che Josef Breuer intraprese con la paziente nota come Anna O. e che la paziente stessa chiamò “talking cure” o “chimney-cure” “spazzacamino” . Lacan in seguito dirà che "più Anna ne dava, di significanti e di ciance, meglio andava “
Il primo transfert della storia provocò la fuga di Breuer da quello che lui stesso definì “untoward event” (che in inglese significa inaspettato, ma anche disdicevole, sconveniente) (OSF, 7, 385). Questo evento sconveniente e inatteso altro non era che un transfert erotico esploso durante il trattamento di Anna. La fuga si accompagnò, tuttavia, alla percezione che si fosse trattato, come lui stesso scriverà anni dopo, dell'incontro con “la cosa più importante che noi due — (lui e Freud) — daremo al mondo” (OSF, 10, 190). La decisione di Freud, invece, fu di non indietreggiare e di cercare di considerare scientificamente anche questi “contrattempi”. Il concetto di transfert trova così la sua prima formalizzazione in “Studi sull’isteria”, a proposito del rapporto tra medico e paziente, di cui Freud nota l’ambivalenza:
“…ben difficilmente si riesce a evitare che il rapporto personale verso il medico, almeno per un certo tempo, si ponga indebitamente in primo piano; sembra anzi che un’influenza di questo genere da parte del medico costituisca la condizione che sola consente la soluzione del problema…”
Questo accade perché l’analista, come già descritto, verrà a far parte delle rappresentazioni libidiche anticipatorie del paziente riguardo a delle imago riattivate nella sua mente fin dal pensiero del primo incontro, l’imago paterna o materna o anche fraterna, secondo le relazioni che hanno caratterizzato il suo vissuto affettivo con queste figure. Si sottolinea che anche la componente positiva del transfert può creare ostacolo all’analisi perché “affetti ed emozioni indirizzano la relazione verso il campo dell’ideale”.
Lo stesso Freud, infatti, memore della vicenda con Breuer, ammonirà l’analista di non instaurare un clima di intimità tale da metter a rischio la direzione della cura fino alla sua interruzione. Freud, in fin dei conti, invita l’analista ad essere neutrale, ma la neutralità “non deve scongiurare il rischio del transfert”.
Per Freud, il transfert è il motore della cura analitica, da cui scaturisce il fenomeno dell’amore di transfert che per Freud è un fenomeno di ripetizione. Infatti, in alcuni casi, il paziente afferma di non ricordare, ad esempio il periodo dell’infanzia, mostrando così di essere preda della rimozione. Tuttavia, questi ricordi rimossi, pur non essendo noti alla coscienza, sono presenti nella vita del paziente e, messi in atto, divengono azioni, “li ripete, ovviamente senza rendersene conto”. Tale ripetizione nel tempo dello svolgersi della cura coinvolgerà l’analista, che ne diventerà parte integrante. Così dalla nevrosi comune si passerà alla “nevrosi di transfert”.
“Questa nuova edizione della vecchia malattia noi l’abbiamo seguita fin dall’inizio, l’abbiamo vista nascere e crescere e in essa ci raccapezziamo particolarmente bene perché al suo centro, come oggetto, stiamo noi stessi. Tutti i sintomi del paziente hanno abbandonato il loro significato originario e hanno assunto un nuovo senso, che consiste in un rapporto con la traslazione; oppure sono sopravvissuti solo quei sintomi ai quali poteva riuscire una simile trasformazione. Domare questa nuova nevrosi artificiale significa però anche eliminare la malattia portata nella cura, significa risolvere il nostro compito terapeutico.”