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Dott. Angelo Villa

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Le margheritine, Věra Chytilová, 1966.

2024-03-12 23:00

di Arianna Minonzio

FORT-DA numero 2/2024,

Le margheritine, Věra Chytilová, 1966.

Rubriche Arti Visive di Arianna Minonzio

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Praga, 1966.

 

Il mondo è scosso da pesanti sconvolgimenti: la tensione USA-URSS, fatta decollare ed esacerbata dalla politica sconsiderata di Chruščëv, è ai suoi massimi; sono infatti appena ripresi i test nucleari con lo sgancio da parte sovietica della Tsar Bomb, di circa 3100 volte più potente di Little boy, la bomba che devastò Hiroshima.

 

Su questo sfondo di continue prove muscolari, la vita è appesa a un filo: sono gli anni della crisi di Cuba, della guerra in Vietnam, della costruzione del Muro. Gli anni in cui, ancora una volta, dopo il terribile scenario della Seconda Guerra mondiale, la politica riesce a insinuarsi tangibilmente nelle vite private, delimitandone gli orizzonti di libertà, e soprattutto di speranza.

 

A dispetto però delle roboanti retoriche che scandiscono ogni tragedia con imperdonabile nonchalance, la lacerazione si è già incarnata: in questa città dal passato - e dal prossimo futuro - oscuro, le menti cominciano a vacillare.

Come può infatti far presa un senso, e, quindi, una vita, se la Ragione ha fallito così miseramente? A cosa appellarsi se quella stessa Ragione che aveva da poco sbarcato gli scienziati sulla Luna e unito miliardi di persone sotto il segno politico di un mondo migliore si è sgretolata come sabbia, procurando solo morte e sangue? 

 

È a ribadire proprio questo che il film si apre con le immagini dello sgancio di una bomba: all’umanità non può riuscire di difendere la sua presunta, ma decantata, civiltà, le sue conquiste scientifiche, la sua credibilità, dopo che la scienza è stata messa al servizio di uno sterminio. 

 

Non rimane dunque molto altro da constatare: tutto va a rotoli. A dispetto del muro di narcisistica e virile rispettabilità che il mondo si era eretto fino ad allora. Ed è forse proprio per questo, per sbeffeggiare un mondo fatto da uomini per altri uomini che arrivano due giovani ragazze: belle, furbe, irriverenti.

 

Marie I: Tutto si sta degradando in questo mondo.

Marie II : Cosa intendi con "tutto"?

Marie I : Sai, tutto.

Marie II : In questo mondo.

Marie I : Lo sai, no? Quando tutto viene corrotto.

Marie II : E allora?

Marie I : Noi.

Marie II : Essere corrotte.

Marie I : Anche.

Marie II : Anche noi.

Marie I : Giusto.

Marie II : È un problema?

Marie I : Per niente.

 

Due ragazze dagli occhi grandi e opachi che non portano un nome proprio, ma che  rispondono universalmente con l’affermazione del caos e dell'inconscio - tradizionalmente femminili - all’orrore del mondo, dando voce alla rabbia che le ha viste zittite e depotenziate da tempo immemore. 

 

Due ragazze che daranno forma alla loro vendetta per mano di una divertentissima ed infinita marachella, sottolineando deliziosamente quanto possa essere seria una burla se operata nei confronti di un dovere e di una morale infetti. Ma, soprattutto, che lasceranno trapelare fra una risata sguaiata e un inno fanciullesco alla vita la dolcezza della loro vendetta, perché sarà proprio il loro Femminile a demolire l’istanza fallica dalla voce grossa che ha dominato il mondo in un mandato tronfio e cieco. Così si apre il film: se il Fallo ha affermato da sempre la sua volontà di potenza soggiogando e atrofizzando il Femminile, tale Fallo dovrà morire per opera di una Vulva tanto più zuccherina e civettuola, mandato a morte da un narcisismo opposto, e tanto più nefasto proprio perché inaccettabile.  E questa femminilità spietata e assoluta sembrerà non vedere l’ora di ergersi a nemesi: si farà strada muovendo dalla ripetuta seduzione di uomini vecchi e ricchi, preziosi perché in grado di offrire forme di godimento infinite, completamente dimentiche di una legge o una morale che possa metter freno al loro appetito. Approderà poi nella stanza in cui si girerà buona parte del film, sottratta a ogni coordinata temporale e spaziale, divincolandosi in tutto ciò che muove l‘istinto. In una dimensione senza colpe o morali che si azzardino a bussare alla porta, ci saranno frutti di forma fallica tagliati instancabilmente in mille e mille pezzettini, telefonate di innamorati lasciate appese per ore mentre si mangia languidamente una mela, forse del peccato, pareti tappezzate di ritagli e fili che si rincorrono in disegni informi, senza poter fare a meno di ricordare inconsci.

 

Ma, come il buon vecchio Freud ha sempre sostenuto, una mente senza castrazione non è fatta per l’umano, così come non può esserlo una vendetta indiscriminata e totalizzante. E la Chitylová non si dimostrerà un’ingenua in questo: nella scena finale, le due giovani e vibranti ragazze si preoccuperanno di ricostruire un banchetto distrutto e messo sottosopra, ricordandosi per un momento che la violenza ha pur sempre bisogno di una giustificazione razionale per essere sostenuta psicologicamente. 

 

Il film arriverà infatti inesorabilmente a mettere fine anche alle loro speranze di poter ribaltare la spietatezza del mondo, pur se nell’opposizione della loro morale di vita pulsante e generosa: verranno uccise dal pesante lampadario del banchetto, come a sottolineare che all‘orrore commesso non ci sia via di scampo alcuna, neanche se di rivalsa. Ma sarà nell’ultima e definitiva constatazione del film che si farà strada forse una speranza, almeno di protesta:  „scandalizzatevi, ma non per un cavolo calpestato“, non per queste due ragazze, non per la loro irriverenza, non per la morale borghese calpestata: il mondo muore.

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