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Byung-Chul Han, Winnicott e l'oggetto transizionale: un contributo personale

2024-03-19 00:00

di Gabriele Cassullo

FORT-DA numero 2/2024,

Byung-Chul Han, Winnicott e l'oggetto transizionale: un contributo personale

di Gabriele Cassullo

Con questo lavoro raccolgo l'invito di Riccardo Galiani – apparso sulle pagine della Rivista di Psicoanalisi 2022, fascicolo 2 – a condividere alcune considerazioni personali circa le implicazioni “politiche” del pensiero di Winnicott[1]. Lo farò portando all'attenzione del lettore l'uso che fa dell'oggetto transizionale il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han, docente presso l'Universität der Künste di Berlino; uno dei più influenti commentatori dell'attualità e autore de La società senza dolore (2020)[2].

Inizierò illustrando il modo in cui, in un capitolo del suo Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale[3], Han arrivi a evocare il concetto winnicottiano di oggetto transizionale.

Scrive Han:

 

Le piattaforme come Facebook o Google sono i nuovi feudatari. Noi ariamo instancabili la loro terra e produciamo dati preziosi che loro procedono a cannibalizzare. Ci sentiamo liberi, eppure siamo sfruttati, sorvegliati e influenzati. In un sistema che sfrutta la libertà non si sviluppa alcuna resistenza. Il dominio arriva a compimento nell'attimo in cui coincide con la libertà (p. 34).

 

In seguito Han cita il saggio Il capitalismo della sorveglianza di Shoshana Zuboff (2019), ove ella sostiene la necessità che si arrivi a dichiarare un energico “Basta!” nei confronti di un tale stato di controllo, un “Basta!” analogo a quello pronunciato dai cittadini di Berlino Est prima della caduta del Muro. Ma Han è dell'avviso che ciò non sia possibile:

 

Il sistema comunista che opprime la libertà si differenzia in maniera sostanziale dal capitalismo neoliberista della sorveglianza che sfrutta la libertà. Noi siamo troppo obnubilati dalla droga digitale, dall'ebbrezza della comunicazione, per mettere un «basta!», per levare una voce di protesta. Il romanticismo rivoluzionario qui non c'entra nulla. Col suo truism «Protect Me From What I Want» [«Proteggimi da ciò che voglio»], l'artista concettuale Jenny Holzer ha espresso una verità evidentemente sfuggita a Shoshana Zuboff (p. 35).

 

Pare che Han adombri un passaggio del potere da un codice paterno a uno materno, per usare le categorie concettuali di Franco Fornari. A un regime, ovvero, la cui influenza avverrebbe in modo sotterraneo e farebbe leva sull'abuso dell'umana disposizione alla dipendenza dall'oggetto primario. La moneta di scambio per acconsentire all'effrazione del “sé privato” sarebbe una remunerazione di natura narcisistica, che viene così a costituire “la sostanza” da cui si diventa dipendenti. In termini intrapsichici, lo sfruttamento cui Han si riferisce non allude più al classico rapporto di “schiavitù” di un Io asservito a un Super-io tirannico, ma implica una modalità relazionale che si gioca fra sé e sé, volta ad approfittarsi, a “trarre profitto” da se stessi (siamo tutti “imprenditori” e “promotori” di noi stessi). In effetti, l'exploitation of the True Self, nel senso di un'estrazione di valore dalle risorse più “socialmente appetibili” del proprio carattere, della propria identità, della propria persona, rientra a pieno titolo nell'universo concettuale winnicottiano[4].

Continua Han:

Anche il regime neoliberista è smart. Il potere non opera mediante ordini e divieti: non ci rende remissivi, bensì dipendenti e drogati. Invece di spezzare la nostra volontà, appaga i bisogni. Vuole piacerci. E' permissivo, non repressivo. Non c'impone il silenzio. Anzi, ci viene costantemente, insistentemente richiesto di esternare opinioni, preferenze, bisogni e desideri, di comunicarli, insomma di raccontare la nostra vita. Esso rende invisibile il proprio intento di dominio proponendosi in maniera amichevole, smart. Il soggetto sottomesso non è neppure al corrente della propria sottomissione. Si crede libero. Il capitalismo si compie appieno nel capitalismo del mi piace, che per via della propria permissività non ha bisogno di temere alcuna resistenza, alcuna rivoluzione (ibid.). 

 

È a questo punto che il filosofo sudcoreano ricorre al Winnicott degli oggetti transizionali per dire che, “alla luce della nostra relazione quasi simbiotica con lo smartphone, arriviamo a credere che esso rappresenti un oggetto transizionale” (ibid.). Ma secondo Han lo smartphone non è affatto un oggetto transizionale: non agevola la crescita emotiva. Infatti, “a contraddire questa ipotesi vi è già il fatto che lo smartphone sia un oggetto narcisistico, mentre l'oggetto transizionale incarna l'Altro” (p. 37).

Questo il cuore della tesi sociopolitica di Byung-Chul Han: “Con lo smartphone intratteniamo […] una relazione narcisistica. Esso reca molte analogie coi cosiddetti «oggetti autistici»[5], che possiamo anche chiamare oggetti narcisistici” (p. 38).

 

È più che altro un oggetto narcisistico e autistico grazie al quale si percepisce soprattutto sé stessi. Così facendo esso distrugge l'empatia. Insieme allo smartphone ci ritiriamo i un ambito narcisistico protetto dalle imponderabilità dell'Altro. Esso rende l'Altro disponibile, reificandolo. Dal tu crea un Es. La scomparsa dell'Altro è proprio il motivo ontologico per cui lo smartphone ci rende soli. Oggi comunichiamo in maniera così maniacale ed eccessiva proprio perché siamo soli, perché avvertiamo un vuoto. Tale ipercomunicazione non è tuttavia appagante. Non fa che aggravare la solitudine, poiché le manca la presenza dell'Altro (p. 39).

 

Nell'appoggiarsi al celebre saggio di Winnicott sui fenomeni transizionali, però, Han non si cura di una serie di affermazioni che mostrano come Winnicott avesse un'idea alquanto differente dell'oggetto transizionale, che è per lui invece un oggetto verso cui la madre lascia tacitamente – ma non con noncuranza – che i figli “sviluppino una dipendenza” (Winnicott, 1953, p. 89).

Winnicott in effetti chiarisce: “Ho introdotto i termini «oggetto transizionale» e «fenomeni transizionali» per segnalare quell'area intermedia dell'esperienza che si trova fra il pollice e l'orsetto, fra l'erotismo orale e una vera relazione d'oggetto, fra l'attività creativa primaria e la proiezione di ciò che è già stato introiettato, fra l'incoscienza primaria dei propri debiti e il riconoscimento del debito” (ibid.). In questo modo, egli non polarizza il discorso, come fa Han (narcisismo opposto a empatia, solitudine e solipsismo del sé opposti alla presenza dell'altro), ma si colloca tra i due poli di una relazionalità autoerotica verso se stessi e una relazionalità differenziante, rivolta all'alterità.

Per di più, l'oggetto transizionale winnicottiano non “incarna l'Altro”, come sostiene Han, ma costituisce il primo possesso non-me: si tratta di “oggetti che non fanno parte del corpo del bambino ma non sono neppure del tutto riconosciuti come appartenenti alla realtà esterna” (ibid.). Per inciso, qui potrebbe risiedere un ulteriore motivo di interesse “politico” del pensiero di Winnicott in quanto precursore del concetto di embodiment[6], concetto che attraverso le attuali ricerche sull’intelligenza artificiale e la nuova robotica, promette di attuare una vera rivoluzione antropologica nei processi di human-automation interaction a scopi medici, lavorativi, civili, militari... tramite la neuro-robotica[7].

Se l'oggetto transizionale reca in sé un'eccessiva quota di alterità, è eccessivamente estraneo al sé, come Han parrebbe aspettarsi da esso, la sua funzione di ponte fra mondo interno e realtà esterna viene a crollare, e l'oggetto da transizionale diventa persecutorio: la realtà (oggettiva) sarà percepita come imposta dall'esterno e non assimilabile da un soggetto che sente di non avere su di essa alcun potere. Il soggetto si sente ricacciato in uno stato di totale passività e impotenza. Al contrario (e ciò costituisce un ulteriore risvolto politico del pensiero di Winnicott[8]), se si sente di avere la possibilità di offrire un proprio contributo personale alla creazione dell'oggetto transizionale, e pertanto di una realtà non più assoluta ma fatta anch'essa di transiti e transazioni, fra la sfera del mondo interno e la sfera della realtà esterna si istituirà un'area di sovrapposizione, un'area terza, dove il soggetto sentirà di poter vivere senza che il suo essere più intimo sia frainteso, sfruttato, insultato o violato. 

 

 

Riferimenti

Han B.-C. (2020), La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite. Einaudi, Torino 2021.

Han B.-C. (2022), Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale. Einaudi, Torino 2022. 

Silberman S. (2015), NeuroTribù. I talenti dell'autismo e il futuro della neurodiversità. Edizioni LSWR, Milano 2016.

Winnicott D.W. (1953), Transitional Objects and Transitional Phenomena—A Study of the First Not-Me Possession. Int. J. Psychoanal., (34):89-97.

Winnicott D.W. (1960), “Ego Distortion in terms of True and False Self”. Int. Psycho-Anal. Lib., (64):140-152, 1965.

Zuboff S. (2019), Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell'umanità nell'era dei nuovi poteri. Luiss Univ. Press, Roma 2019.

 

Sintesi

La presente Nota raccoglie l'invito di Riccardo Galiani (Rivista di Psicoanalisi 2022, fascicolo 2) a condividere alcune considerazioni sulle implicazioni “politiche” del pensiero di Winnicott. L'autoreporta all'attenzione del lettore e mette in questione l'uso che, nel libro Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale (Einaudi, 2022), fa della concezione di Winnicott dell'oggetto transizionale il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han.

 

Parole chiave: Donald Winnicott, Byung-Chul Han, oggetto transizionale, biopolitica.


 

[1]     http://www.spreaker.com/episode/winnicott-politico-laura-ravaioli-intervista-riccardo-galiani--51458531

[2]     www.einaudi.it/catalogo-libri/filosofia/filosofia-contemporanea/la-societa-senza-dolore-byung-chul-han-9788806252946/

[3]     Per una più estesa presentazione del libro, rimando alla recensione di Davide D'Alessandro su Spiweb: www.spiweb.it/cultura-e-societa/stampa/rassegna-stampa-2/rassegna-stampa-italiana/byung-chul-han-levaporazione-dellaltro-huffpost-21-2-22-di-d-dalessandro/.

 [4]     Scrive Winnicott ne “La distorsione dell'Io in rapporto al Vero e al Falso Sé” (1960): “Ci è perciò possibile risalire al punto di origine del Falso Sé, che ora può essere visto come una difesa, una difesa rispetto a un fatto impensabile: lo sfruttamento [exploitation] del Vero Sé, che porterebbe al suo annientamento. Se può accadere che il Vero Sé venga sfruttato e annientato è perché ci troviamo nell'ambito di vita di un bambino la cui madre […] è stata buona e cattiva in modo stranamente irregolare. In questo caso, è parte della malattia di una tale madre il suo bisogno di provocare e mantenere un disordine caotico in chi è in contatto con lei. Dinamica che può tradursi in una situazione di transfert nella quale il paziente cerca di fare impazzire l'analista (Bion, 1959; Searles, 1959). Anche soltanto un certo grado di questa dinamica può distruggere le ultime tracce della capacità del bimbo di proteggere il proprio Vero Sé” (p. 147).

[5]     L'utilizzo dell'aggettivo “autistico” ha di per sé notevoli implicazioni politiche. L'attuale movimento no vax è nato in relazione alla diagnosi di autismo, negli ultimi anni del Novecento, a seguito del “caso Wakefield”. Ma attorno a tale diagnosi si era già aggregato alcuni decenni prima un movimento, analogo e parallelo al “movimento di liberazione omosessuale”, che aveva l'obiettivo di favorire il passaggio da un “paradigma della patologia” a un “paradigma della neurodiversità”. Questo movimento ha ricevuto un grande impulso dall'emergere della cultura digitale (che secondo Baron-Cohen è particolarmente adatta alle caratteristiche di funzionamento autistico) e dalla scoperta di alti tassi di incidenza di Sindrome di Asperger nei figli delle coppie Geek appartenenti alla classe agiata della “Silicon Valley” (Silberman, 2015).

[6]     www.treccani.it/enciclopedia/embodiment_%28Lessico-del-XXI-Secolo%29/

[7]     www.santannapisa.it/it/istituto/biorobotica/neuroscience-robotics

[8]     Il richiamo è ai concetti, nati nell'ambito delle scienze sociali, di agency e di empowerment.

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