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Dott. Angelo Villa

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Breve storia di un gruppo. Scoperta di una tecnica.

2024-07-19 02:50

di Giuseppe Raniolo

FORT-DA numero 3/2024,

Breve storia di un gruppo. Scoperta di una tecnica.

Breve storia di un gruppo.Scoperta di una tecnica. DiGiuseppe Raniolo

In queste note racconterò brevemente l’esperienza dalla quale ho ricavato una tecnica che ho chiamato poesia di gruppo che ho in seguito utilizzato in contesti di formazione e di supervisione. Dal 2016 al 2019 ho condotto un gruppo di psicoterapia per pazienti psicotici all’interno del Dipartimento di Salute Mentale dell’ASP di Catania. Si trattava di un gruppo aperto, che permetteva quindi l’ingresso di altri membri previa selezione. Questi membri non furono solo costituiti da pazienti designati, ma anche da operatori ai quali si chiedeva di “mettersi in discussione” e accettare di entrare in contatto con la propria parte psicotica della personalità.

 

In seguito e su richiesta dei membri del gruppo, le poesie prodotte nel 2017 e nel 2018 furono pubblicate nella collana Costellazioni della Casa Editrice 900 di Catania per volere dei dirigenti dell’ASP perché ritenute un esempio eclatante della possibilità di intervento nel disagio psichico con tecniche in grado di contattare le aree creative e le capacità di mentalizzazione considerate spente o pietrificate. 

 

Il titolo che venne scelto per esigenze editoriali fu: Dalla psicoterapia di gruppo alla poesia ma personalmente avrei preferito Dalla psicoterapia di gruppo alla poesia di gruppo e non per un vezzo ma perché il concetto di psicoterapia di gruppo rimanda sia ad una tecnica sia ad una scelta di campo teorico: la tecnica consiste nel creare le condizioni per consentire al gruppo nel suo complesso di costruire una poesia. È il gruppo l’autore della poesia e non la somma dei suoi membri, essendo questa l’opzione teorica confermata nei fatti. Prova ne sia, e lo ribadirò più avanti, che quando la poesia veniva letta al gruppo alla fine della seduta, tutti restavano increduli rispetto al fatto di esserne gli autori pur riconoscendo ognuno il verso che aveva offerto come contributo.

 

Il gruppo

  

Condurre un gruppo di psicoterapia che riconosce nel confronto verbale e nella narrazione il suo metodo di approccio al dolore psichico, non è cosa facile quando i membri che lo costituiscono sono disabituati al confronto verbale e hanno rinunciato alla narrazione di sé.

 

Lo stigma sociale e la solitudine portano spesso le persone affette da disturbi che attaccano la mente, il pensiero e l’affettività in una sinergia perniciosa, a rifugiarsi nelle semplici ma chiare espressioni di una quotidianità ridotta all’essenziale (che non è l’essenza) e nei propri sintomi che sembrano fornire un appiglio alla fragile ricerca di senso dell’esistenza e all’altrettanto povero senso di identità.

      

Persone fragili e povere di relazioni sociali e in cui sembrano essersi spenti gli interessi e le spinte vitali.

 

Eppure il gruppo è qui, evidentemente in ognuno la speranza di un buon incontro permane.  Il gruppo ha risposto alla proposta di riunirci per occuparci assieme di socialità, affettività, pensiero, con fiducia mista a rassegnazione.

 

Ma in sostanza da chi è costituito il gruppo terapeutico quando viene attivato se non da tutte le persone presenti nel luogo in cui si riunisce, compreso il conduttore ed eventuali altri operatori (in questo caso uno psichiatra e una psicoterapeuta)?  La ridotta capacità di accedere alla mentalizzazione e alla simbolizzazione così come la momentanea difficoltà di dare senso alla propria esistenza e alla propria identità sono infatti eventi che ci riguardano tutti indistintamente. 

       

Il gruppo è impegnato nell’impresa di interrogare il dolore mentale, nel dargli voce e significato, nella ricerca di un linguaggio comune, di un modo per accedere e ravvivare una vitalità psichica che stenta a manifestarsi. Un’impresa che appare ostica perché ci ritroviamo, nostro malgrado, a non parlare d’altro se non di cose neutre e anodine o di sintomi e terapie o di solitudine e distanza sociale. Sembrano essersi spenti sogni, desideri, spiritualità, si è lontani dal pensiero simbolico, dalle metafore, dalle allegorie e si è lontani dalla propria storia personale, dalla narrazione di sé e della propria relazione con il mondo. In questi, spesso stagnanti, incontri nulla sembra offrire un appiglio al cambiamento, ad una relazione più proficua e profonda. Sembra quasi che le menti individuali e la mente di gruppo (quella generata dal nostro legame psichico) non siano in grado di produrre forme di auto, comprensione, stimoli che ci possano ravvivare; è palese però il piacere di incontrarci e la fiducia nel fatto che questo incontro si verifichi ogni settimana.

 

La tecnica

 

Accade un giorno che un membro risponda ad un altro in rima; saluto l’evento con sorpresa e invito gli altri a mettersi alla ricerca di rime. 

 

È così che nasce Primavera, la prima poesia che apre la silloge che poi verrà pubblicata. Siamo tutti stupiti, elettrizzati, divertiti e sorpresi dal risultato… Ma ancora di più lo saremo quando, nelle sedute successive, dopo avere invitato il gruppo a trovare un tema ed un titolo da dare ad una poesia, e dopo avere chiesto di regalarci ognuno un verso da inserirvi, cominciano a prendere vita le prime composizioni.

         

Dopo avere raccolto i versi mi sono limitato a ordinarli, in modo che si cogliesse la coerenza con il tema che abbiamo individuato seduta per seduta, e ad applicare alcune semplici correzioni per rispetto delle regole grammaticali (scegliendo il singolare o il plurale, ad esempio, o il tempo presente o futuro…). 

         

I membri del gruppo stentano a credere che siamo stati noi a comporre le poesie che affiorano; alcuni mi chiedono di vedere il foglio in cui ho trascritto i versi mentre me li dettavano, altri mi domandano la copia delle poesie a prova e conferma della tangibilità e fruibilità di quanto prodotto e tutti aspettano che ogni mercoledì si compia il rito: fare accedere il poeta al porto sepolto e consentirgli di ritornare con i suoi canti, come scrive Giuseppe Ungaretti:

 

Il porto sepolto.

 

Vi arriva il poeta

 E poi torna alla luce con i suoi canti

 E li disperde

 

Di questa poesia

Mi resta quel nulla

Di inesauribile segreto[1]

 

 

Nella sostanza (e la sostanza sono le poesie stesse) abbiamo avuto accesso ad una funzione della mente che è quella che produce i sogni, i miti, il pensiero poetico. Lo stato sognante del gruppo, la rêverie gruppale, resa possibile dalla fondazione e dal mantenimento di un luogo dell’accoglienza incondizionata, dell’assenza di giudizio, dell’empatia, del rispecchiamento e del gioco creativo, ha consentito di accedere a quella funzione della mente che permette alle cose del mondo di acquisire, altri statuti oltre a quello fisico, diventando oggetti mentali, simboli, sogni, miti.

 

Dunque è possibile, sicuramente al di là della nostra stessa volontà, che certi processi vitali possano essere riattivati, o attivati per la prima volta, utilizzando in gruppo delle tecniche che, forse proprio perché non sedimentate, consentano di accedere alla poiesis.

 

Una poesia

         

IL TEMPO INTERMINABILE

-AI NOSTRI PADRI-

Ecco il cielo sereno di una notte d’estate

Mi chiedo: qual è il tempo

Del cielo stellato?

E quello del mare?

Qual è il tempo dell’uomo?

Questo tempo che scorre

-lo scoccare delle ore-

Mi fa riflettere:

Ascolto il suo fluire dentro di me

Il diventare vecchio

Di questo figlio dell’Universo

Di uno spazio pieno di galassie

 

E intanto il vento soffia velocemente


 

[1] Giuseppe Ungaretti, Vita d’un uomo. Tutte le poesie, I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1969, p. 23

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