Cosa si cela dietro il narcisismo patologico e cosa può favorire il processo di guarigione?
La storia di super Mauro e del suo vuoto interiore.
Come psicoterapeuta e psicodrammatista mi accade frequentemente di interrogarmi sulla vera sofferenza psichica del narcisista cercando dunque di comprendere i processi nascosti dietro la maschera che indossa con l’obiettivo di aiutarlo e sostenerlo in un processo evolutivo, di catarsi e di guarigione.
Il seguente testo non mira infatti a delineare tipologie, tratti, metodologie ma vuole essere un invito rivolto a clinici e non a guardare oltre il falso sé grandioso, concetto coniato e approfondito da Kohut e diversi autori.
La maschera seduttiva del narcisista può variare molto, sulle tipologie c’è molto da poter approfondire in letteratura ma la maschera che scelgo di descrivere è quella caratterizzata da grandiosità, onnipotenza, superiorità. Maschera spesso associata al sottotipo “narcisista overt”: dominante, eccellente, superiore, mantiene un distacco emozionale.
In contrapposizione a questi tratti-maschera emergono però spesso sentimenti di inferiorità, bassi livelli di autostima, vulnerabilità, difficoltà relazionali.
Le difficoltà relazionali riguardano anche la maschera “narcisista Covert”: ansioso, altamente sensibile alle critiche, non riesce di fatti a coltivare relazioni significative.
Questi vissuti possono tramutarsi in depressione, ansia, insoddisfazione, attacchi di panico.
Vi illustro brevemente la storia di Mauro che si collega molto alla tipologia descritta.
Si presenta in studio con un aspetto molto curato, la sua vita è apparentemente “perfetta”: i suoi genitori lo sostengono nei suoi progetti, pratica due sport, ha un buon lavoro, una bella macchina e una serie di donne con cui intrattiene relazioni a suo dire “easy”. Dice di non essere innamorato di nessuna di esse poiché tutte ad un certo punto vogliono cambiarlo, renderlo diverso. Dice inoltre che queste donne non sono troppo concentrate su di lui e che di conseguenza non meritano grandi lodi.
“Mi diverto e basta”, “al momento non mi serve altro” è quello che afferma sulla sua vita sentimentale.
E’ per me da subito evidente che dietro la maschera/falso sé c’è tanto da analizzare. Avverto nel processo di transfert un forte bisogno di accudimento, mi sento da una parte un genitore che deve accudire e dall’altra una delle partner che deve fare qualcosa per lui. Transfert e contro transfer mi danno dunque indizi preziosi.
Mi chiedo: questo mio aiuto sarà mai abbastanza?
Probabilmente è ciò che si chiedono queste donne che nonostante le continue conferme non risultano adeguatamente concentrate su di lui.
In queste mie note c’è già molto del lavoro da poter intraprendere. Mi chiedo: quali carenze ha vissuto M. ? Cosa c’è dietro questo vuoto che accusa?
Inizialmente non riesce a intraprende il percorso terapeutico con una richiesta chiara, un obiettivo ben verbalizzato dice però di avvertire una grande vuoto, sottolinea più volte di non sentirsi gratificato.
Tornano dunque le mie riflessioni sulle carenze che M. Ha avvertito durante la sua vita. Comprendo che la psicoterapia deve essere focalizzata sul transfert e sui conflitti di fondo.
Dietro la maschera c’è sofferenza e questo vien confermato quando Super M. racconta di un vissuto di competizione nei confronti del fratello (ipotizzo subito possa trattarsi di invidia) ed non aver mai sentito da parte della madre un buon riconoscimento.
Comprendo che probabilmente dietro la narrazione di M. Adulto c’è un bambino che non è stato visto.
Emerge che la mamma lo avrebbe voluto “dottore”, non ha mai apprezzato le sue vere inclinazioni e mai si è interrogata sulle sue emozioni pur sostenendolo economicamente. Il fratello G. ai suoi occhi è riconosciuto, stimato ed eccessivamente lodato.
Quali strumenti sono stati utili ad aiutare M.?
1) Colloqui clinici utili soprattutto a mentalizzare le esperienze;
2) Adesione a sessioni di psicodramma moreniano mirate a sostenerlo attraverso lo sharing del gruppo e la catarsi.
Nello specifico i due strumenti utilizzati (colloqui e metodi attivi psicodrammatici) hanno premesso ad M di comprendere gradualmente che le sue vulnerabilità hanno origini chiare e che non può pretendere né da se stesso ne da gli altri “perfezione e grandezza”così come la madre avrebbe voluto per lui.
Hanno inoltre reso possibile un lavoro sull’oggetto interno madre. M Ha compreso che esisteva un’interferenza tra la fantasmatica materna e l’incontro con le donne con cui interagiva.
Attraverso la restituzione del transfert e del controtrasfert M ha imparato a distinguere i ruoli.
E’ stato inoltre portato a termine un lavoro inerente i conflitti interni, le difese e i processi inconsci.
A conclusione dell’esperienza psicoterapeutica di Mauro è stato interessante notare come la maschera abbia lasciato spazio al Vero Sé , durante uno degli incontri finali basati sul lavoro psicodrammatico di fatti Mauro rivolgendosi ad un ego-ausiliare che interpreta il suo “doppio” del passato dice “desidero che tu non mi appartenga mai più!voglio sentirmi libero e avere fiducia! Vattene!”.
L’alleanza terapeutica instaurata ha probabilmente aiutato Mauro a comprendere che può essere capace di coltivare legami, durante l’ultimo colloquio clinico afferma: “Mi sento più maturo e pronto a relazionarmi, avverto che il mio vuoto sta diventando sempre più uno spazio”.
La creazione di uno spazio sano è stato dunque il culmine del percorso, uno spazio interno ed esterno che permetta a Mauro e a chiunque ne abbia bisogno di sperimentare benessere e di relazionarsi abbandonando le difese.