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Dott. Angelo Villa

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Perché parlare di psicosi ordinaria?

2024-07-19 01:37

di Marco Lipera

FORT-DA numero 3/2024,

Perché parlare di psicosi ordinaria?

Perché parlare di psicosi ordinaria? di Marco Lipera

Evoluzione del concetto

 

La prima cosa fondamentale che bisogna sapere su questo tema è che il termine di psicosi ordinaria non è un termine pronunciato da Lacan. Esso infatti fa la sua comparsa per la prima volta nel 1998 ad opera di J-A. Miller durante la conversazione che prenderà il nome di Convenzione di Antibes[1], l’ultimo atto di un percorso in tre tappe preceduto dai due momenti di Arcachon[2] prima e di Angers[3] dopo. Una nozione forgiata da lui insieme ai contributi provenienti dalle tre importanti, e oramai celebri, conversazioni internazionali, dove Miller invitava a porre particolare attenzione a quei fenomeni discreti presenti in alcuni soggetti, che in quanto tali non attirano l’attenzione proprio perché si presentano nella forma di essere aderenti alle norme o a un senso troppo comune. Inoltre, sempre nel corso di queste giornate si è evidenziata l’alta frequenza con la quale si presentano queste forme cliniche atipiche e per le quali dunque si è reso necessario ridefinire la nozione classica di psicosi.[4]

Tra i protagonisti di questo momento enfatico, esortati quindi dall’esigenza di riorganizzare i costrutti teorici a partire da queste nuove informazioni, è nato un dibattito che è ruotato attorno alla proposta di nuovi concetti che dessero contezza delle logiche in esame, pertanto sono emersi termini come neo-scatenamento, neo-conversione, neo-transfert. Espressioni tutte che davano inizialmente l’idea che la nascente concettualizzazione, in linea con questa successione significante, potesse prendere proprio il nome di neo-psicosi. Tuttavia Miller, con la sua intuizione, ha voluto diversamente indirizzare il focus su un aspetto che potesse tracciare una differenza cruciale sussistente tra questo insolito orizzonte, in quel momento nascente della psicosi, e l’idea convenzionale e consolidata che si ha di essa. Egli infatti l’ha definita ordinaria per rendere evidente la contrapposizione con quella cifra di straordinario che si riscontra invece negli effetti visibili della patologia, effetti che sono menzionati canonicamente nella dottrina classica della forclusione del Nome del Padre, caratterizzati da fenomeni abbastanza drammatici come le allucinazioni, i deliri e i disturbi del comportamento.  In altre parole, per psicosi straordinaria si vuole intendere quella forma clinica che è notoriamente segnata da fenomeni appunto straordinari per quanto concerne certi stati che invece di norma vengono fatti risalire ad una sorta di misura che da essa facciamo risalire la definizione di comportamenti cosiddetti normali. È in relazione ad essi quindi che la psicosi ordinaria si caratterizza, facendo della normalità, o per meglio dire della ordinarietà, la sua peculiarità per cui è lecito parlare di psicosi più modeste, compensate e non scatenate, ma che al tempo stesso riservano delle sorprese[5].

Ora, per tracciare in definitiva un quadro riassuntivo delle diverse concettualizzazioni sulla psicosi, in generale diremo che da un lato ci riferiamo ad essa nel segno di una discontinuità esistente tra psicosi e nevrosi[6] che le vede come due classi ben separate, e dove in Schreber troviamo il paradigma strutturale dello scatenamento  e dall’altro lato la definiamo invece nel senso della continuità di due classi interagenti  cioè al di là della clinica strutturale dove nevrosi e psicosi sono marcatamente distinte in ragione della presenza o dell’assenza dell’operatore del Nome del padre[7], secondo la quale il paradigma di funzionamento è rappresentato da Joyce , con quanto cioè viene formalizzato da Lacan tramite la topologia borromea. Secondo quest’ultima prospettiva la psicosi e la nevrosi si configurano come due varianti della situazione umana, ovvero come varianti della posizione soggettiva di parlanti nell’essere[8].

 

 

Psicosi ordinaria 

 

In linea con ciò che è stato formulato da Lacan nel suo ultimo insegnamento, dove si interroga la clinica a partire da una continuità tra significante e godimento, vediamo come nella psicosi classica  quella cioè delle manifestazioni eclatanti che non danno adito a dubbi diagnostici  si riscontra un prima e un dopo lo scatenamento, ovvero una linea di discontinuità ben precisa. Nelle psicosi ordinarie invece non si trova questa discontinuità e non sono evidenti i segni di un’intrusione catastrofica del godimento, ma al contrario ci si trova di fronte ad una continuità che può comportare un mascheramento della struttura. Per questo motivo, infatti, sul piano dei fenomeni, le psicosi ordinarie possono essere confuse con le nevrosi dove la localizzazione del godimento è assicurata dal fantasma inconscio, che determina appunto una continuità di fondo tra significante e godimento[9]. Dal lato della psicosi ordinaria, in mancanza quindi di rotture evidenti, la bussola da seguire diventa quella di decifrare quei segni sottili dove invece è possibile intravedere una delocalizzazione del godimento, cioè un’infiltrazione di godimento fuori castrazione. È una categoria difficile da riconoscere, dice Miller, che assume un valore strategico per gli analisti più sul piano epistemico che su quello oggettivo, ed è proprio qui che risiede il punto cruciale di tutta la questione sulla psicosi ordinaria[10]. 

Ma cosa significa considerare quella della psicosi ordinaria una categoria epistemica? Leggendo il testo di Miller Effetto di ritorno sulla psicosi ordinaria, ci si imbatte su questa curiosa affermazione, che a prima vista sembra una formula così astratta tanto da far pensare di non potersene servire granché sul piano clinico pratico. Quando si mettono in opposizione due strutture ben definite e circoscritte, come nevrosi e psicosi, e quando si introduce un terzo, qualificandolo come un incontro nella clinica che non è né psicosi né nevrosi, si è portati ingenuamente a intendere questo terzo elemento come cosa a sé, come categoria altra nella quale far confluire tutto ciò che non è psicosi e tutto ciò che non è nevrosi. L’errore presente nel concepire le cose in questo modo è quello, in ultima analisi, di considerare la psicosi ordinaria alla stregua della categoria borderline, terminando così nel considerare le cose secondo un certo immaginario. La psicosi ordinaria, invece, è una psicosi che si presenta lungo la linea della normalità comportamentale o per meglio dire dell’ordinarietà, dove tuttavia, nel dettaglio, sono ravvisabili le linee di funzionamento di una psicosi. 

In ragione di ciò, grazie alla nozione della struttura, possiamo dunque affermare che esiste un campo della psicosi che può anche essere fenomenicamente occulto. Ovverosia, fenomenicamente integrato e amalgamato alla vita ordinaria sociale, ma che tuttavia rimane una struttura psicotica sottostante e che pertanto non si può escludere che essa sia suscettibile di destabilizzarsi. Diremo, in altre parole, che si tratta di una condizione di instabilità evolutiva, per cui se da un lato niente esclude che possa rimanere silente per tutta la vita, e quindi stabile, dall’altra, una volta individuata, va contemplata la possibilità che essa possa presentare effetti di scompensazione, concezione che per la clinica assume un grande valore per la direzione della cura e quindi per la prognosi. 

Con la nozione di psicosi ordinaria si allarga il campo delle psicosi che si configura come una conquista euristica importante che ha dei risvolti nel campo clinico molto concreti. Una nozione duttile che fa avanzare l’inquadramento, la teoria e quindi anche la possibilità di intervento. 

Ora, una volta che sono state usate tante parole per definire un campo concettuale, resta di fondo un interrogativo fondamentale e cioè: che cosa, dunque, è concretamente la psicosi ordinaria? Essa la possiamo definire come un substrato, a volte più robusto a volte meno, dietro il quale sono nascoste le categorie classiche della psicosi di tradizione Kraepeliniana, cioè schizofrenia, paranoia e psicosi maniaco depressiva su cui Freud si è appoggiato per dare prova dei dispositivi della sua teoria che man mano è andato forgiando. In sintesi diremo che, da una parte si ha la nevrosi come qualcosa di ben caratterizzabile e dall’altra abbiamo la psicosi conclamata di Schreber. Tra le due poniamo adesso un terzo campo, che sarebbe il campo di quello che era Schreber prima di avere una psicosi conclamata: “forse ciò che chiamiamo psicosi ordinaria è una psicosi che non si manifesta fino al suo scatenamento”[11], dice Miller. Quindi abbiamo, sì l’uomo dei topi e Dora da una parte, poi abbiamo Schreber conclamato dall’altra e poi abbiamo, in mezzo, coloro che stanno nella posizione in cui stava Schreber prima dello scatenamento, ci sono infatti soggettività che permangono in questo limbo, in questo che ápres coup possiamo definire come prescatenamento, e che può durare anche tutta la vita. Noi, con Miller, in questa terra di mezzo, avanziamo l’ipotesi di una psicosi ordinaria a condizione però di aggiungere che tale ipotesi va avallata, cioè va verificata nella direzione di cercare sotto traccia i segni che possono confermare o disconfermare la diagnosi di psicosi; cioè quei segni psichiatrici tradizionali che depongono in favore di una psicosi propriamente detta ancorché non visibile; in cui si ravvisano le caratteristiche di un tale campo clinico rispetto alla vita sociale come disinserimento o come iperinserimento, o rispetto ai tentativi di acchiappare un corpo che scappa da tutte le parti, o come sul piano della soggettività il senso del vuoto particolare come senso di scarto, che si distingue da quello dell’isteria o del nevrotico ossessivo. 

La psicosi ordinaria è un concetto dunque provvisorio, temporaneo, in cui collochiamo dei pazienti che non sono chiaramente nevrotici, ma neanche chiaramente psicotici, e li collochiamo momentaneamente in un tempo che non deve essere indefinito, ma al contrario abbastanza rapido e conclusivo, in attesa di sciogliere la prognosi che ci faccia dire in modo definitivo se, a ben vedere (perché ne ho trovato le prove), sono nevrotici oppure sono chiaramente psicotici prescatenati. Potremmo dire così, a diagnosi perfettamente avvenuta, con valore ideale di questa formulazione, non esiste più la psicosi ordinaria: o è una nevrosi o è una psicosi. Ovviamente la direzione della cura è congruente e conseguente all’aver diagnosticato A o aver diagnosticato B. 

In fondo, la teoria della psicosi ordinaria è la risposta palese e articolata della riserva con cui il mondo lacaniano da sempre ha accolto la teoria del borderline. La quale teoria, pertanto, non è propriamente una teoria euristica, cioè una teoria provvisoria, ovvero non è quel cassetto transitorio in cui situiamo i pazienti di cui dobbiamo sciogliere la diagnosi di qua o di là, come la psicosi ordinaria, ma la categoria del borderline è una categoria nosograficamente ontologica. 

Ora siamo nelle condizioni di poter dire più chiaramente perché è una categoria epistemica: la psicosi ordinaria non è l’invenzione di una nuova categoria clinica, ma è un dispositivo concettuale raffinato in dote all’analista per poter più precisamente pronunciarsi ai fini diagnostici per la direzione della cura.     


 

[1] Miller J.-A. (a cura di), La Psicosi Ordinaria, La convenzione di Antibes, Astrolabio, Roma 2000. 

[2]IRMA, La conversazione di Arcachon. Casi rari: gli inclassificabili della clinica, Astrolabio, Roma 1999.

[3] IRMA, Il conciliabolo di Angers, Effetti di sorpresa nelle psicosi, Astrolabio, Roma 1999

[4] Miller J.-A. (a cura di), La Psicosi Ordinaria, La convenzione di Antibes, cit., p. 193.

[5] Ivi, p. 193.

[6]Secondo il modello freudiano di Nevrosi e psicosi del 1923 e de La perdita di realtà nella nevrosi e nella psicosi del 1924.

[7] Miller J.-A. (a cura di), La Psicosi Ordinaria, La convenzione di Antibes, cit., p. 19. 

[8] Ibidem, p. 194

[9] Ivi, pp. 8-9.

[10] Miller J-A., Effetto di ritorno sulla psicosi ordinaria, in La Psicoanalisi, n. 45, Astrolabio, Roma 2009. 

[11]Miller J-A., Effetto di ritorno sulla psicosi ordinaria, cit., p. 234.

 

Bibliografia.

  • Miller J.-A. (a cura di), La Psicosi Ordinaria, La convenzione di Antibes, Astrolabio, Roma 2000. 
  • IRMA, La conversazione di Arcachon. Casi rari: gli inclassificabili della clinicaAstrolabio, Roma 1999.
  • IRMA, Il conciliabolo di Angers, Effetti di sorpresa nelle psicosi, Astrolabio, Roma 1999
  • Miller J-A., Effetto di ritorno sulla psicosi ordinaria, in La Psicoanalisi, n. 45, Astrolabio, Roma 2009. 

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